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Il mito di Cerere e Proserpina e come gli antichi greco-romani spiegavano l’alternanza delle stagioni

    Molte religioni, soprattutto quelle antiche, pagane e politeiste, erano popolate da miti che vedono protagonisti le divinità del culto.

    La mitologia che ebbe una delle maggiori casse di risonanza tra i popoli antichi, facendo giungere la loro eco fino ai tempi contemporanei, è sicuramente quella greca.

    Le divinità erano venerate ed invocate in base all’ambito della vita per il quale gli antichi chiedevano protezione ed aiuto.

    Ogni divinità aveva un dono ed una sfera d’influenza precisi e venivano offerti loro sacrifici o riti propiziatori. 

    Le divinità greche però differivano dagli uomini perlopiù per l’immortalità perché avevano pregi, difetti, vizi e virtù come gli esseri umani.

    Nella mitologia greca, le divinità interagivano con uomini, re, regine, eroi, ninfe, animali che diventavano essi stessi parte del mito e le loro vicende arrivarono ad essere non più solo parte della credenza religiosa ma assumevano più piani di lettura: da spiegazioni di dinamiche psicologiche ad eventi naturali.

    Il mito di Cerere e Proserpina, ad esempio, spiega l’alternarsi delle stagioni. 

    Andandolo a studiare, però, è possibile trovarlo con protagonisti Demetra, Persefone e Plutone.

    Gli antichi romani, prima dell’affermazione del cristianesimo tra il I ed il III secolo d.c., mutuarono molte figure di divinità greche, cambiando loro nome: ad esempio, Zeus, Ade ed Era divennero Giove, Plutone e Giunone, così come Demetra e Persefone diventarono Cerere e Proserpina. 

    Cerere era la dea della Terra, dei raccolti e della fertilità, quindi anche della nascita, motivo per cui fiorì, frutta ed esseri viventi erano considerati suoi doni.

    Si riteneva che fosse stata lei ad insegnare agli uomini la coltivazione dei terreni.

    Solitamente, veniva rappresentata con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano, un canestro di grano e frutta nell’altra e veniva celebrata con la festa delle Cerealie, il 19 aprile. 


    Cerere,
    Paolo Farinati, 1590 circa
    Villa Nichesola-Conforti, 
    Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella (Verona)

    Un giorno la figlia Proserpina, mentre raccoglieva fiori in un prato non molto lontano da Enna, venne rapita da Plutone, dio degli inferi che si era profondamente innamorato di lei.

    Nonostante le resistenze della ragazza, il dio riuscì a trascinarla nel regno dei morti dove la fece diventare sua moglie.


    Il rapimento di Proserpina, Hans von Aachen, 1587, Museo nazionale Brukenthal, Romania


    Appena la madre Cerere scoprì che la figlia era stata rapita e trascinata negli inferi cadde in disperazione, tralasciando di regolare l’impulso di nascita di flora e fauna.

    Il suo dolore la portò a prendere il suo carro alato per andare al cospetto di Giove ed implorare che sua figlia facesse ritorno a casa.

    Quest’ultimo, non volendosi inimicare il fratello, disse che ciò era possibile solo se la ragazza non avesse ancora mangiato alcunché nell’aldilà.

    Essa però avevo già inghiottito quello che era considerato il cibo dei morti: chicchi di melograno.


    Proserpina,
    Dante Gabriel Rossetti, 1874
    Tate Britain, Londra

    La disperazione di Cerere generò una terribile carestia che andava a ripercuotersi su tutto il ciclo della natura, andando a colpire risorse alimentari di uomini e divinità.

    Quindi, Giove per trovare un compromesso che permettesse al fratello Plutone di godere dell’amore della sua amata e alla madre di poter avere un umore favorevole al rigoglio della vegetazione, riuscì ad ottenere che Proserpina passasse sei mesi all’anno con il marito negli inferi e i restanti sei con la madre.

    L’umore di quest’ultima andava a condizionare il ciclo della natura che inaridiva durante la lontananza della figlia ed era invece rigogliosa mentre quest’ultima era con lei.

    Le mezze stagioni della primavera e dell’autunno divennero i periodi di transito del progressivo avvicinamento al ritorno o allontanamento della figlia.

    La mitologia greco-romana è un vero e proprio ricettacolo di ispirazioni artistiche per molti pittori, scultori e mosaicisti antichi e contemporanei.

    Tracce della sua influenza sono permeate anche in espressioni linguistiche di uso quotidiano: vedi il modo di dire perdere il filo del discorso o piantare in asso che derivano dalle vicende che vedono protagonisti Teseo ed Arianna, vivere sugli allori che si riconduce alla figura di Apollo, avere un tallone d’Achille che si rifà al punto debole del leggendario eroe greco. 


    Ratto di Proserpina, Luca Giordano, 1682-1685, Galleria Palazzo Medici Riccardi, Firenze